Polizza assicurativa r.c. personale del medico e quella della struttura sanitaria

Polizza assicurativa r.c. personale del medico e quella della struttura sanitaria

Con la sentenza n. 30314/19 depositata il 21 novembre, la Corte di Cassazione, sez. III Civile ha stabilito che, nell’assicurazione di responsabilità civile, che è assicurazione di patrimoni e non di cose, il rischio oggetto del contratto è l’impoverimento dell’assicurato e non quello eventualmente patito del terzo e causato dall’assicurato.

Pertanto una assicurazione “personale” del medico copre il rischio di depauperamento del patrimonio di questi e non il diverso rischio del depauperamento della struttura.

Non essendosi fra le due polizze identità di rischio, la polizza stipulata dalla clinica  (tanto per fatto proprio , quanto per fatto altrui) non può mai “operare in eccesso” rispetto alla assicurazione personale del medico. Non si tratta né di coassicurazione, né di assicurazione plurima, né di copertura a secondo rischio che presuppone che il rischio dedotto in contratto sia già assicurato da altra polizza.

Pertanto la compagnia di assicurazioni è tenuta a tenere indenne la clinica di quanto fosse stata tenuta a versare al paziente per il fatto del medico, dedotta solo la franchigia assoluta contrattualmente determinata.

Fatto

Nel 2001 T. S. B. conveniva in giudizio la Casa di cura privata S. P. D. Hospital s.p.a. e il dott. A. L., chiedendo la condanna di entrambi al risarcimento dei danni conseguenti all’errore diagnostico del dott. L. e all’esito aggravatorio della situazione sanitaria pregressa della paziente, conseguente alla cattiva esecuzione della operazione di installazione di protesi all’anca cui si era sottoposta presso la Casa di cura, da parte dell’equipe chirurgica guidata dal L.; la Casa di cura chiamava in causa la sua compagnia di assicurazioni, HDI Gerling (d’ora innanzi, Gerling) , che eccepiva l’inoperatività della polizza.  Il Tribunale di Bologna, nel 2009, accoglieva la domanda dell’attrice, condannando i convenuti in solido a risarcirle i danni nella misura di euro 12.500,00 e la Gerling a tenere indenne la Casa di cura, detratta la franchigia di 2.400,00 euro circa. 

Con la sentenza n. 1237 del 2017 (impugnata), la Corte d’Appello di Bologna, in accoglimento della impugnazione proposta dalla compagnia di assicurazioni, riformava la sentenza di primo grado respingendo la domanda di manleva proposta dalla Casa di cura. La sentenza impugnata riteneva, in virtù dell’art. 7 delle condizioni particolari di polizza, che fosse operativa per tutte le operazioni eseguite all’interno della Casa di cura privata da medico non dipendente, come nel caso di specie era il dott. L., la franchigia di ben 1.500.000.000 lire prevista dall’art. 7. 

La sentenza di appello affermava che sulla base del contratto fosse necessario distinguere tra danni direttamente provocati dalla clinica come struttura, per i quali la clinica rispondeva direttamente e danni provocati dall’operato del medico, per i quali rispondeva anche la clinica a titolo di responsabilità indiretta, ed in relazione ad essi ulteriormente distinguere se il medico responsabile fosse dipendente o meno della Casa di cura; nel caso in cui il medico responsabile non dipendente si fosse avvalso della struttura fornita dalla clinica in rapporto libero professionale, riteneva applicabile il richiamato art. 7 delle Condizioni particolari di polizza e quindi l’amplissima franchigia ivi prevista. 

Il M. C. Hospital s.p.a., incorporante la S P Damiano Hospital s.p.a., proponeva ricorso per cassazione, articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 1327\2017, pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna il 6 giugno 2017. La HDI Global SE, già HDI- Gerling Industrie Versicherung AG resisteva con controricorso.

Ragionamento della Corte 

La responsabilità del dott. L. in relazione al danno riportato dalla paziente B. per l’intervento di chirurgia ortopedica eseguito presso la Casa di cura non è stata posta in discussione con l’appello. L’impugnazione è stata proposta infatti esclusivamente dalla compagnia di assicurazione, ed era relativa al solo punto della decisione in cui la stessa era stata condannata a manlevare la casa di cura assicurata di quanto questa era stata condannata in primo grado a pagare alla paziente, non avendo ritenuto il giudice di primo grado operante nel caso di specie la franchigia prevista dall’art. 7 delle Condizioni particolari di polizza.

La sentenza impugnata è stata censurata dalla casa di cura laddove, sovvertendo l’esito del giudizio di primo grado, ha ritenuto viceversa operante nel caso di specie la franchigia prevista dall’art. 7.

(L’art. 7 delle condizioni particolari di polizza, denominato “Altre assicurazioni”, prevede poi che: “La presente poli.ua opera sempre in eccesso alle assicurazioni personali dei medici e degli altri operatori non direttamente dipendenti dal Contraente assicurato e comunque dopo la somma di lire 1.500.000.000 per sinistro e per persona che restino a carico de/personale qui indicato, a titolo di franchigia assoluta. Per il personale medico e degli altri operatori dipendenti dal Contraente/ Assicurato, la presente copertura opera in eccesso ad eventuali coperture personali. In caso di corresponsabilità tra più assicurati, per lo stesso sinistro si applica un solo massimale)”.

La sentenza della Corte d’Appello di Bologna ha ritenuto che nel caso di specie la casa di cura non potesse pretendere l’indennizzo assicurativo per l’operatività della franchigia di cui all’art. 7, interpretando il predetto art. 7 delle condizioni particolari nel senso che per tutti i danni provocati a terzi dai medici e dagli operatori non dipendenti, operasse la franchigia ivi prevista di lire 1.500.000.000, ovvero che la clinica potesse godere di una copertura assicurativa operativa per i danni provocati da personale non dipendente solo se eccedenti tale importo (e pertanto, che nel caso di specie il danno, ben più modesto, provocato dal dott. L. alla paziente rimanesse integralmente a carico della clinica, che non avrebbe potuto essere manlevata dalla sua compagnia di assicurazioni).

La corte d’appello sostiene infatti che la sola responsabilità diretta

sarebbe disciplinata nell’art. 1.1. comma I, mentre la responsabilità indiretta della clinica o per fatto dei terzi, dipendenti e non, per i quali sarebbe chiamata a rispondere sia disciplinata nel comma II, e ciò contrasta all’evidenza con il dato testuale sopra riportato (essendo dedicato il secondo comma solo ai danni provocati a terzi da fatti dolosi, dell’assicurato o di persona per la quale debba rispondere, mentre le due ipotesi di responsabilità diretta e indiretta della clinica sono disciplinate entrambe dal primo comma).Non si tratta quindi di una delle possibili interpretazioni, ma di una interpretazione contrastante con il dato letterale. Inoltre, l’affermazione secondo la quale, ove il danno fosse cagionato da medico non dipendente dovrebbe operare la franchigia di cui all’art. 7 omette, senza alcuna spiegazione, di considerare il peso che, in questa ricostruzione interpretativa, avrebbe dovuto ricoprire la regola generale in tema di franchigia, collocata nella sezione principale del contratto, ed in particolare nel richiamato art. 1.1.8 denominato “franchigia”, che indica la franchigia c.d. assoluta destinata ad operare sempre, in tutte le ipotesi di danno ricadenti sulla clinica. Infine, l’interpretazione fornita dalla corte d’appello in relazione all’art. 7 non rispetta le prescrizioni ne’ dell’art. 1362, ne’ dell’art. 1363 c.c.. La prima di tali norme, infatti, impone quale fondamentale criterio ermeneutico l’interpretazione letterale. L’art. 7 in primo luogo è denominato “Altre assicuraioni”, dato al quale la corte d’appello non ha attribuito alcun rilievo, e prevede che la copertura assicurativa “opera sempre in eccesso alle assicurazioni personali dei medici…”.

Ora, come chiarito da Cass. n. 4936 del 2015, affinché un contratto di assicurazione possa “operare in eccesso” rispetto ad un’altra polizza assicurativa, è necessario che i due contratti coprano il medesimo rischio. Così, ad esempio, una assicurazione contro l’incendio non potrebbe mai “operare in eccesso” rispetto ad una contro il furto. Per contro, l’assicurazione contro l’incendio stipulata dal locatore ben potrebbe “operare in eccesso” rispetto all’identica assicurazione stipulata dal conduttore per conto altrui, e quindi coprire i danni non coperti da quest’ultima polizza. Orbene, se un medico operante all’interno di una struttura sanitaria ha stipulato una “assicurazione personale”, questa non può che coprire la responsabilità civile del medico stesso

L’assicurazione della responsabilità civile del medico operante all’interno d’una struttura sanitaria ha ad oggetto un rischio del tutto diverso rispetto a quello coperto dall’assicurazione della responsabilità civile dalla struttura in cui il medico si trova ad operare. Nell’assicurazione di responsabilità civile infatti- che è assicurazione di patrimoni e non di cose – il “rischio” oggetto del contratto è l’impoverimento dell’assicurato, non il danno eventualmente patito dal terzo e causato dall’assicurato. Pertanto una assicurazione “personale” della responsabilità civile del medico copre il rischio di depauperamento del patrimonio di quest’ultimo. 

L’assicurazione della responsabilità civile della clinica, invece, copre il rischio di depauperamento del patrimonio della struttura sanitaria. 

I due contratti sono diversi, i due rischi sono diversi, i due assicurati sono diversi: e nulla rileva che tanto la responsabilità della clinica, quanto quella dei medico, possano sorgere dal medesimo fatto illecito, che abbia causato in capo al terzo il medesimo danno. 

Se due contratti di assicurazione garantiscono rischi diversi, non può mai sussistere per definizione ne’ una coassicurazione, ne’ una assicurazione plurima, ne’ una copertura “a secondo rischio”, come ritenuto dalla Corte d’appello. Quest’ultima, infatti, presuppone che il rischio dedotto nel contratto sia già assicurato da un’altra polizza. Ma poiché il rischio cui è esposto il medico è ben diverso dal rischio cui è esposta la struttura (tali rischi, infatti, minacciano patrimoni diversi), una assicurazione stipulata dalla clinica “per conto proprio” non potrebbe mai garantire anche la responsabilità del medico. Ne consegue che una polizza stipulata a copertura della responsabilità civile della clinica (tanto per il fatto proprio, quanto per il fatto altrui) non può mai “operare in eccesso alle assicurazioni personali dei medici”, perché non vi è coincidenza di rischio assicurato tra i due contratti.

Pertanto, nel caso di specie, avendo la casa di cura invocato la propria copertura assicurativa, per essere tenuta indenne da quanto la stessa era stata condannata a pagare ad una paziente per il danno occorsole all’interno della struttura (ancorchè derivante non dal fatto proprio ma dal fatto di persone del cui operato doveva comunque rispondere), l’art. 7 delle condizioni particolari di contratto non doveva trovare applicazione, dovendosi invece ritenere la compagnia di assicurazioni tenuta a tenere indenne la clinica di quanto fosse stata tenuta a versare alla paziente per il fatto del Lelli, dedotta la franchigia assoluta di lire 5.000.000 (ora curo 2.582,28), prevista dall’art. 1.1.8., come statuito dal giudice di primo grado.

 

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